Le mie Cime Tempestose

Le mie Cime Tempestose

C’ è voluto il “Maggio dei libri” al liceo scientifico P.S. Mancini a farmi ricordare delle mie Cime .

Luglio 1990 Calabria e per la precisione Guardia Piemontese, vacanze al mare, Bruno , il nonno Trento, Gorby e i miei tormenti di quindicenne.

Un libro verde rilegato con la scritta dorata, la mia amica delle vacanze Maria che veniva da Rose, la mamma venezuelana e il papà calabrese, una raccolta di Repubblica, quando internet era quello War Games e lo smart phone era il telefono di Gordon  Gekko di Wall Street.

Non avevo idea delle sorelle Bronte, nè dei grandi classici, non mi ero affacciata ai libri seri, anche se mi credevo una tipa “serissima”,  ricordo che ero  incazzata col mondo intero, costretta a stare lontana dagli amici, dalle uscite, dal mio  motorino,  e dal ragazzo del tempo; che drammi.

A scuola era andata da schifo, mi ero messa in un serio casino, i miei quindici anni non mi facevano capire che alcuni di quei pasticci me li sarei pianti a vita;

ero solo incavolata, burbera e acida, in sostanza ero un’adolescente.

Il libro me lo diede Lei, che non lo aveva neanche letto, ma per atteggiarsi a tipa più grande mi disse che, se fosse stato come Dr. Jeckyl and Mr Hyde sarebbe stato bellissimo.

Facevano parte della stessa raccolta,

uno era di colore bordeaux e l’altro verde bottiglia.

La traduzione era stata fatta per intero anche dei nomi dei protagonisti, c’era un segnalibro dorato fatto di cordicella, mi ricordava tanto quello che muoveva il prete, sull’altare, nel libro dei sermoni, a seconda della lettura.

Fui subito attirata forse perché era facile strumento di evasione dalla famiglia, dalla realtà.

Non capivo niente dello spessore del personaggio, del punto di vista, del media res, della storia nella storia.

Ricordo l’empatia con cui lessi la storia, mi sentivo molto protagonista di una vita complicata, di un luogo ameno e burrascoso il mio Wuthering Heights , ero proprio nella brughiera dell Yorkshire, solo che si trovava nel sud del Tirreno, dove c’erano quaranta gradi all’ombra, e ancora più strano è che io mi sentivo molto più Heathcliff che Catherine.

Dunque Cime Tempestose, le mie Cime, una storia d’amore, di amicizia, di sofferenza, di appuntamenti con la vita puntualmente disattesi, di personaggi sinceri nel loro essere sbagliati.

La storia d’amore di tutte le storie, per me;

sarà per questo che le storie più sono complesse e ostacolate e più mi piacciono, e come se quel pathos delle mie Cime mi avesse drogata a vita.

Quelle anime sospese, immortali nella sofferenza, a volte penso che se avessi letto un libro più semplice avrei avuto un’altra vita.

IMG_8443Sono trascorsi semplicemente 27 anni, sono nella mia vecchia scuola, al Mancini, nella categoria ex alunni, per leggere il libro che “Ti ha cambiato la vita”, il libro,  sempre quello, più vecchio anche lui, con le pagine ingiallite e il cordoncinno sfilacciato, ma l’emozione sempre la stessa; dinnanzi ad un pugno di adolescenti e a qualche insegnante non ho potuto fare a meno di leggere la descrizione più assurda e più vera di cosa sia l’amore:

<Ma non è nulla, volevo solamente dire che il cielo non mi sembrava casa mia; e piansi disperatamente per tornare sulla terra ; e gli angeli furono così adirati che mi gettarono in mezzo alla landa in vetta alle Cime Tempestose; e là mi svegliai singhiozzando di gioia: questo sogno servirà a spiegarti il mio segreto, come quell’altro. Non ho più scopo a sposare Edgar Linton più di quel che abbia a stare in cielo; e se quel malvagio uomo che è di là non avesse gettato Heactchcliff così in basso, non ci avrei pensato. Ora mi avvilirei a sposare Heatchcliff; così egli non saprà mai come lo amo; e questo non perchè sia bello Nelly, ma perchè egli è più di me stessa. La sua anima e la mia sono una cosa sola; e Linton è diverso come può essere un raggio di luna da un lampo, o il ghiaccio dal fuoco.>……………………….

<Separati! Chi ci separerà, di grazia? Sarà fatica gettata al vento! Fino a che vivrò. Per nessuno che viva in questo mondo.. Tutti i Linton potranno scomparire dalla faccia della terra, prima che consenta a dimenticare Heathcliff>……………………………………….

<Gli altri motivi sono la soddisfazione dei miei capricci: e anche per amore di Edgar, per soddisfare lui. Questo è amore di chi racchiude  nella sua persona i miei sentimenti per Edgar e per me stessa. Non so esprimerlo; ma certo tu e tutti avete l’idea che ci sia , o debba esserci un’esistenza dopo di questa. A che cosa servirebbe esistere, se io fossi tutta contenuta qui? I miei grandi dolori in questo mondo sono stati i dolori di Heathcliff, e li ho contemplati e provati tutti fin dall’inizio; il mio grande pensiero della vita è lui. Se tutto il resto crollasse, e lui restasse, io continuerei ad esistere; e se tutto il resto rimanesse, e lui fosse annullato, L’Universo diventerebbe un enorme estraneo. Non ne farei parte. Il mio amore per Linton è come foglie di bosco. Il tempo lo cambierà lo so bene, come l’inverno cambia gli alberi. Il mio amore per Heathcliff assomiglia alle rocce eterne là sotto: è una fonte di scarsa gioia visibile, ma è necessario. Nelly io sono Heathcliff . Lui è sempre sempre nei miei pensieri, non come un piacere, non più di quanto io sia un piacere per me stessa, ma come il mio stesso essere. Quindi non parlare più della nostra separazione è impossibile>

nb: sono passi tratti dal dialogo tra Nelly e Catherine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buon Compleanno.

Buon Compleanno.

Oggi è il mio compleanno.

Classe 1974, sono 42, non che ci voglia Gauss per dire che sono più di quaranta.

Lo dico senza nessuna vergogna e senza nessuna reticenza, e sebbene tutti a dire ma sei giovanissima, io so, che molti pensano che non è poi così vero che gli anta sono anta e non sono enta, che sebbene siamo la generazione QT c’è una boa dalla quale l’orizzonte è sempre più lontano soprattutto a quaranta.

E infatti Quarantadue non sono pochi, lo vedi nello specchio, nelle linee del viso, del collo, lo vedi sulle mani, lo vedi negli occhi dei tuoi genitori.

Eppure,  io non so cosa significa avere quarant’anni. Forse per saperlo dovrei arrivare a cinquanta e scrivere delle differenze tra i due zeri, dei cambiamenti, delle attese puntualmente disattese, dei progressi, dei rimpianti, dei piaceri, ahimè dei dispiaceri che accompagnano un decennio, che accompagnano una vita.

Ieri sera mi sono soffermata a pensare perché bisogna festeggiare il compleanno, il giorno natale, non ho voglia e poi sono grande che senso ha. Da piccoli è tutto più bello, si è felici di essere considerati, i regali anche quelli più sciocchi sono una festa, gli auguri sono una festa ancor più grande, a quarantadue non desideri più regali perché quello che vorresti è quasi irraggiungibile e il resto ce l’hai quindi che fai….a quarantadue pensi, rifletti e ricordi che sei quella ragazzina di Pretty in Pink che ha vissuto per anni col mantra vai Distruggili tutti e torna a casa; sei stata convinta di essere comunista fino a quando hai visto tuo padre inorridire, perché sei tornata a casa con la rivista di Lotta Comunista, ma erano gli anni del movimento della Pantera e tu ci credevi tanto; sei stata la bambina che ha pianto con Sacco e Vanzetti e con Revenge; sei stata l’adolescente che non usciva perché c’era Beverly Hills in tv; a quarantadue ricordi di essere stata della fazione dei Grunge di Seattle, solo nella tua testa e con il tuo armadio; sei stata la liceale della gita senza ritorno a Lloret de Mar; dei Doors,  e Talking Heads. A quarantadue ridi a crepapelle solo al ricordo degli scherzi in classe, delle bugie che hai raccontato ai tuoi, dei vestiti improponibili che vedi nelle foto. A quarantadue ricordi i parties nelle discoteche degli anni novanta, della tua Renault 4 bianca, le videocassette i cd e dvx, della tua Red Rose viola e del Si blu elettrico. Ricordi dell’università, il primo esame di matematica, il professore di chimica, il primo lavoro, le interviste, il tuo compagno, i dischi, le litigate, le risate. A quarantadue ricordi che volevi essere un medico, una ballerina, un’attrice. Ricordi degli amici, dei tuoi cari, dei tuoi figli, di quando sono nati, di quanto li adori e di quanto sei fortunata.

Io non so cosa significa avere quarant’anni, ma so come sono io a quarantadue, sono più serena, più felice e più rilassata.

Non voglio più diventare nessuno se non me stessa.

Voglio continuare questa strada perché finalmente mi sembra quella buona.

E soprattutto ho capito che dopo i quaranta, e ancora,  il compleanno  lo festeggerò e lo renderò speciale, almeno per un secondo, perchè sono fortunata, perché ci sono, perché ricordo.

 

Ps: il mio pensiero non può che andare a coloro che a quarantadue ci sono arrivati e se ne sono andati, a qualcuno che non ha visto neanche il ventiquattro, e qualcun altro che quarantadue lo ha superato per poco e se ne è andato. Festeggerò anche per loro.

 

 

I miei anni ’80

Ho appena finito di leggere “meno di zero” di Bret Easton Ellis, sono passati trent’anni dalla pubblicazione del libro e questo mi fa specie perché, mentre leggevo, non potevo fare a meno di pensare a me, trent’anni fa.

Gli anni ottanta, demonizzati e talvolta rinnegati, per quello che hanno rappresentato nella loro plasticità; epoca di edonismo, di un’ ondata neo liberista, inizio della politica -spettacolo, sono stati però anche gli anni in cui, da bambina mi trasformavo in adolescente e per questo li ricorderò sempre con una certa tenerezza.

Io che nell’ 85 avevo finito le elementari alla Cristoforo Colombo, e mi apprestavo a fare le scuole medie alla mitica Enrico Cocchia.

In me, non c’era nulla del vuoto della generazione di MTV della Los Angeles di Ellis, e ci mancherebbe, io ero quella che faceva le vacanze con i cugini in Calabria, con quaranta gradi all’ombra, e milioni di lentiggini sul corpo (l’abbiamo girata tutta da nord a sud da est a ovest).

Ero quella ragazzina, che quando la mamma ha scoperto che aveva un eritema solare, le ha spalmato la leocrema (oggi chiamerebbero il telefono azzurro).

Avevo una sorta di ossessione per i cantanti e credevo che John Taylor, dei Duran Duran, mi guardasse dal poster della mia camera da letto.

Io che non ho mai avuto un cerchietto Nay Oleari, perché a detta di mamma non mi stava bene, e quindi per questo non sono potuta diventare una gatta morta, secondo la teoria di Chiara Moscardelli. (peccato!)

Avevo un disturbo borderline per Saranno Famosi e la Casa nella Prateria, e quindi un giorno mi vestivo con body di lycra e scaldamuscoli, tipico di Leroy Johnson, e un giorno cercavo di farmi delle improponibili trecce alla Laura Ingalls, e avrei dato tutto, per avere quel cestino delle cibarie che lei agitava nella sigla.

Io, che sul terrazzo di casa, a via Baccanico, cercavo di riprodurre fedelmente il balletto e la canzone finale di Grease, con le mie amiche, impersonando sempre e comunque John Travolta e mai Olivia Newton John (i miei avrebbero dovuto capire, che avevo già dei problemi a relazionarmi con le icone femminili).

Non usavo il rossetto rosa o arancione, come le mie amiche, ma rigorosamente bianco, e tagliavo tutti i pantaloni e purtroppo anche i capelli con le forbicine delle unghie, perché il Video di Madonna mi aveva folgorata.

E visto che non avevo a disposizione tanta musica cercavo di miscelare (o dio santo) le canzoni, registrandole direttamente dalla radio.

Non vi dico che musicassette conservo ancora oggi.

(Forse era un preludio della mia vita futura, inconsapevole del fatto che avrei trascorso una vita insieme ad un virtuoso di vinili e miscelaggi).

La mia domenica mattina era fatta di Cioè comprato all’edicola dei Platani, della messa alla chiesa del Rosario e del pezzo di pizza, alla pizzeria Guarino per il corso.

Alla fine delle vacanze estive dopo mesi di mare, giochi spensierati,sotto casa, qualche novità tipo l’Intelevision, che dopo 15 minuti si surriscaldava e dovevi spegnerlo,il game boy o lo stereo a doppia piastra regalatomi da papà; mi sentivo pronta per la scelta di un nuovo diario scolastico, magari uno della Nay Oleary (mia madre ancora parla di questo incubo).

La sensazione che ricordo era di una forma di rigenerazione,di una eccitante novità, per sentirti bene ci voleva molto poco, un paio di Superga nuove, un Levi’s 501 che mettevo a vita alta( non so come), ed eri pronta per il giro con le amiche magari per il Corso.

I film, che passavano al cinema non erano tantissimi, e non esisteva il multi-sala,anzi, quando eravamo fortunati c’era il Partenio e l’Eliseo; ma c’era anche la videoteca, che aveva una scelta fichissima di film d’eccezione, per non parlare delle ultime uscite…

Ed è lì, che metteva radici la mia fissa per il cinema.

Se volevi un po’ di suspance, mista ad una notte insonne, rubavi Cronaca Vera del nonno e la leggevi di nascosto. (salvo poi, svegliare i tuoi durante la notte perché avevi gli incubi).

Insomma io ero, molto molto diversa dai ragazzi di Ellis, forse perché non ero di Los Angeles ma semplicemente di Avellino, e forse, potrei anche dire stranamente “per fortuna“.