Amo Lucia Berlin.

Amo Lucia Berlin.

Amo Lucia Berlin.

In Italia è La donna che scriveva racconti di Bollati e Bordigheri.

Ho letto il libro non potendo fare a meno di prendere appunti.

Storie brevi, semplici,  persone al margine della vita, ma vere sempre più vere.

Ho letto questo libro con calma, quasi una voluta lentezza, un po’ perché provavo dolore all’idea di separarmene, un po’ perché volevo farlo mio, inglobarlo come in una fagocitosi.

Ho letto la vita di Lucia Berlin, un romanzo di vita reale, una vita avventurosa sofferente, entusiasmante tra Alaska, New Mexico, Cile, Texas, Messico, California.

Ho trovato lei in ogni suo racconto, anche quando palesemente si capiva che il tutto era romanzato da una penna poetica, sognante.

I suoi racconti, la povertà, la ricchezza, la dipendenza dall’alcol, le droghe, le disintossicazioni, tutte verità indistinguibili tra storie vere e inventate.

Il suo stile diretto, semplice, immediato. Frasi brevi, incisive. Ambienti descritti in modo sublime tra colori e profumi.

Gli amori commoventi, gli incontri con persone straordinarie, poeti dei sentimenti.

Le sue esperienze come donna delle pulizie, che dà il titolo all’edizione americana del libro “Manuale per donne delle pulizie”, la sua lunga lotta all’alcolismo, la maternità sperimentata per quattro volte, quattro matrimoni, tanti amori, l’insegnamento nelle scuole e poi al college,  il lavoro al pronto soccorso negli anni settanta. La sua famiglia d’origine, i nonni, i suoi genitori e poi sua sorella, che morirà prima di lei per un cancro.

Tutta la sua vita è stata una profonda ispirazione, umorismo anche nella sofferenza.

Ho avuto una folgorazione e sto cercando di continuare questa love story leggendo Lucia in lingua originale. Ho finito Where I Live Now, in lingua originale perché purtroppo non si trovano traduzioni in lingua italiana; la mia ricerca continua perché non è semplice reperire i suoi libri anche in lingua inglese, tutti racconti che nel corso degli anni sono stati pubblicati su riviste, e che le hanno permesso di vincere diversi premi per la letteratura.IMG_4830

Amo Lucia Berlin, è diventata una mia amica, lei, Carlotta, Mona, Maggie, Dolores, Maria. Ho pianto quando ho letto la storia di Carmen in Mijito. Ho riso con il dottorH.A Moynihan, per poi scoprire che quel pazzo dentista era il nonno materno della scrittrice. Mi ha commosso Let me see you smile, con le sue crude verità.

La donna che scriveva racconti resterà sul mio comodino, non lo metterò insieme agli altri, perché per me è qualcosa di speciale che non può essere mischiato; sono quelle sensazioni che si manifestano a pelle e che poi, almeno per me, si concretizzano sempre in grandi esperienze.

Amo le cose normali, perché è nella reale normalità che si trova la vera rivoluzione dei nostri giorni, e Lucia lo aveva già capito tanto tempo fa.

Consiglio di leggere questo libro a tutti quelli che hanno voglia di reale normalità, di spaccati sociali tristi ma veri, di sentimenti concreti, a coloro che vogliono piangere ridendo, che vogliono sentirsi pieni.

 

Non smetto di aver freddo.

Non smetto di aver freddo.

Recensione del libro scritto da Emilia Bersabea Cirillo, Iguana Editrice, di Mafalda Fusilli

“il tempo che c’è concesso è davvero un affare molto impegnativo, per questo capita spesso di fare disastri”

Quanto sono vere queste parole, a volte pensiamo di poter rimediare a tutto o di avere infinite possibilità, ma non è così.

Angela e Dorina sono le protagoniste di non “Smetto di aver freddo”, ma protagonista di questa storia è soprattutto la vita, quella che non possiamo scegliere perché ci piomba addosso alla nascita, attraverso le scelte di chi ci genera, e la vita che costruiamo giorno per giorno, fatta del nostro libero arbitrio, fatta della casualità e delle opzioni a noi concesse.

Emilia Bersabea Cirillo nel suo racconto della vita di due donne, incontratesi durante la loro triste infanzia, descrive la vulnerabilità dell’essere umano , la complessità dell’universo femminile, l’importanza delle semplici scelte che ognuno di noi fa giorno per giorno; descrive la vita e non lo fa solo attraverso le due protagoniste, Dorina e Angela, ma attraverso tutti i personaggi che accompagnano questa storia. I segreti, le esperienze vissute e magistralmente descritte danno vita ad un libro complesso, articolato, ben strutturato.  Il lettore è costantemente in contatto col freddo mondo di Dorina, con la solitudine di Angela, la disperazione di Walter, la disillusione di Rosalia, la saggezza di Suor Vittoria, l’amore incondizionato di Antonia…..

Emilia B.Cirillo descrive luoghi conosciuti, la nostra Avellino, integrandoli nella vita dei protagonisti del suo romanzo,modificandone la fotografia a seconda dei sentimenti o degli stati d’animo descritti.

In “Non smetto di aver freddo” non vi è mai un calo del ritmo, Non ci sono momenti piatti. E’ una storia incalzante nei suoi continui cambi di ambientazione e personaggio, lascia il lettore continuamente interessato, incuriosito.

Non manca una catarsi dei personaggi , ognuna delle protagoniste a modo proprio ha una risoluzione, condivisa o non, che lascia al lettore un senso di completezza.

Ho amato questo libro, perché completo, complesso, è vero.

Ho amato il libro di Emilia per come descrive le donne, il loro mondo, il quotidiano.

E ho amato la mia città attraverso le parole di Emilia, scoprendone cose che non sapevo.

“La storia di un luogo non muore con il luogo”.

 

 

 

A seguire la recensione di Maria Paola Battista…….un libro due punti di vista………

NON SMETTO DI AVERE FREDDO, Emilia Bersabea Cirillo, L’iguana Editrice, Verona 2016, pagine 343, € 16,00.

Un susseguirsi di vicende, flashback, descrizioni, un narratore onnisciente che conduce il lettore in una storia di amicizia, cattiveria e perversione.

Questa la prima impressione che dà Non smetto di avere freddo, l’ultimo romanzo di Emilia Bersabea Cirillo.

La sensazione del freddo accompagna la vita di uno dei personaggi della storia: un freddo che viene fuori nei momenti più pericolosi per il suo animo.

Il lettore avverte quel freddo e questa sensazione fa di Non smetto di avere freddo una lettura accattivante, coinvolgente, spesso amara.

A parte la tecnica perfetta che risponde ai canoni di ogni buona scrittura e che lascio commentare a chi è più bravo di me, qualcosa va comunque sottolineata. Innanzitutto le descrizioni partecipative dei luoghi in cui si svolgono le vicende: la Napoli degli studenti, l’Irpinia con la sua neve, Atrani con il mare, una casa circondariale.

Luoghi evocativi che portano il lettore dentro la storia e lo rendono partecipe di ciò che accade. Tutto è sensazioni, occhi attenti, intrecci di personalità.

Sullo sfondo i mali del nostro tempo: l’abbandono della famiglia, la disoccupazione, la crisi economica che rompe ogni equilibrio.

Il bene e il male, la bontà e la cattiveria, la purezze e la perversione. Da dove nasce il freddo che una donna porta dentro per tutta la sua vita?

Mentre la lettura scorre veloce, limpida, semplice, ecco che un evento inatteso rompe la monotonia di un equilibrio finto, triste, scandito e scontato e da quel momento in poi tutto cambierà: altri eventi, altre situazioni, nuovi personaggi e luoghi si insinuano nella storia.

Leggendo il libro spesso mi sono ritrovata con il freddo addosso, mi sono emozionata nella compenetrazione della lettura, provando pietà, affetto e disapprovazione per i personaggi che sembrano persone vere avviluppate in un vortice fatto di passato e presente.

Maria Paola Battista

http://www.wwwitalia.eu/italia/index.php/in-biblioteca/3732-non-smetto-di-avere-freddo

Una mamma del sud

Una mamma del sud

Sono una quarantenne,  mamma di due figli maschi.

Sono di Avellino,  ma avrei tanto voluto essere di New York.

Ho studiato biologia a Napoli, ma forse,  sarebbe stato meglio studiare  storia delle religioni delle  tribù sud sahariane.

Adoro i libri,  il cinema,  la buona cucina,  le penne,  le moleskine,  e le persone diverse da me.

Spesso, mi ritrovo a voler dire tutto quello che mi passa per la testa,e forse con questo diario ho trovato il modo di farlo.

Mafalda

Hi, I’m Mafalda. Let me introduce myself.

I’m a 40 year old mother of two boys. I was born and live in Avellino but I wish I were from New York.

I studied Biology at Naples Uni but maybe it would have been better to have studied the History of the Religion of the South Saharan Tribes.

I adore books, the cinema, good food, pens, moleskins and people who are different from me.

Often I find I want to say aloud everything that goes through my mind and maybe with this diary, I have found the way to do that.

 

 

 

I miei anni ’80

Ho appena finito di leggere “meno di zero” di Bret Easton Ellis, sono passati trent’anni dalla pubblicazione del libro e questo mi fa specie perché, mentre leggevo, non potevo fare a meno di pensare a me, trent’anni fa.

Gli anni ottanta, demonizzati e talvolta rinnegati, per quello che hanno rappresentato nella loro plasticità; epoca di edonismo, di un’ ondata neo liberista, inizio della politica -spettacolo, sono stati però anche gli anni in cui, da bambina mi trasformavo in adolescente e per questo li ricorderò sempre con una certa tenerezza.

Io che nell’ 85 avevo finito le elementari alla Cristoforo Colombo, e mi apprestavo a fare le scuole medie alla mitica Enrico Cocchia.

In me, non c’era nulla del vuoto della generazione di MTV della Los Angeles di Ellis, e ci mancherebbe, io ero quella che faceva le vacanze con i cugini in Calabria, con quaranta gradi all’ombra, e milioni di lentiggini sul corpo (l’abbiamo girata tutta da nord a sud da est a ovest).

Ero quella ragazzina, che quando la mamma ha scoperto che aveva un eritema solare, le ha spalmato la leocrema (oggi chiamerebbero il telefono azzurro).

Avevo una sorta di ossessione per i cantanti e credevo che John Taylor, dei Duran Duran, mi guardasse dal poster della mia camera da letto.

Io che non ho mai avuto un cerchietto Nay Oleari, perché a detta di mamma non mi stava bene, e quindi per questo non sono potuta diventare una gatta morta, secondo la teoria di Chiara Moscardelli. (peccato!)

Avevo un disturbo borderline per Saranno Famosi e la Casa nella Prateria, e quindi un giorno mi vestivo con body di lycra e scaldamuscoli, tipico di Leroy Johnson, e un giorno cercavo di farmi delle improponibili trecce alla Laura Ingalls, e avrei dato tutto, per avere quel cestino delle cibarie che lei agitava nella sigla.

Io, che sul terrazzo di casa, a via Baccanico, cercavo di riprodurre fedelmente il balletto e la canzone finale di Grease, con le mie amiche, impersonando sempre e comunque John Travolta e mai Olivia Newton John (i miei avrebbero dovuto capire, che avevo già dei problemi a relazionarmi con le icone femminili).

Non usavo il rossetto rosa o arancione, come le mie amiche, ma rigorosamente bianco, e tagliavo tutti i pantaloni e purtroppo anche i capelli con le forbicine delle unghie, perché il Video di Madonna mi aveva folgorata.

E visto che non avevo a disposizione tanta musica cercavo di miscelare (o dio santo) le canzoni, registrandole direttamente dalla radio.

Non vi dico che musicassette conservo ancora oggi.

(Forse era un preludio della mia vita futura, inconsapevole del fatto che avrei trascorso una vita insieme ad un virtuoso di vinili e miscelaggi).

La mia domenica mattina era fatta di Cioè comprato all’edicola dei Platani, della messa alla chiesa del Rosario e del pezzo di pizza, alla pizzeria Guarino per il corso.

Alla fine delle vacanze estive dopo mesi di mare, giochi spensierati,sotto casa, qualche novità tipo l’Intelevision, che dopo 15 minuti si surriscaldava e dovevi spegnerlo,il game boy o lo stereo a doppia piastra regalatomi da papà; mi sentivo pronta per la scelta di un nuovo diario scolastico, magari uno della Nay Oleary (mia madre ancora parla di questo incubo).

La sensazione che ricordo era di una forma di rigenerazione,di una eccitante novità, per sentirti bene ci voleva molto poco, un paio di Superga nuove, un Levi’s 501 che mettevo a vita alta( non so come), ed eri pronta per il giro con le amiche magari per il Corso.

I film, che passavano al cinema non erano tantissimi, e non esisteva il multi-sala,anzi, quando eravamo fortunati c’era il Partenio e l’Eliseo; ma c’era anche la videoteca, che aveva una scelta fichissima di film d’eccezione, per non parlare delle ultime uscite…

Ed è lì, che metteva radici la mia fissa per il cinema.

Se volevi un po’ di suspance, mista ad una notte insonne, rubavi Cronaca Vera del nonno e la leggevi di nascosto. (salvo poi, svegliare i tuoi durante la notte perché avevi gli incubi).

Insomma io ero, molto molto diversa dai ragazzi di Ellis, forse perché non ero di Los Angeles ma semplicemente di Avellino, e forse, potrei anche dire stranamente “per fortuna“.