I miei anni ’80
Ho appena finito di leggere “meno di zero” di Bret Easton Ellis, sono passati trent’anni dalla pubblicazione del libro e questo mi fa specie perché, mentre leggevo, non potevo fare a meno di pensare a me, trent’anni fa.
Gli anni ottanta, demonizzati e talvolta rinnegati, per quello che hanno rappresentato nella loro plasticità; epoca di edonismo, di un’ ondata neo liberista, inizio della politica -spettacolo, sono stati però anche gli anni in cui, da bambina mi trasformavo in adolescente e per questo li ricorderò sempre con una certa tenerezza.
Io che nell’ 85 avevo finito le elementari alla Cristoforo Colombo, e mi apprestavo a fare le scuole medie alla mitica Enrico Cocchia.
In me, non c’era nulla del vuoto della generazione di MTV della Los Angeles di Ellis, e ci mancherebbe, io ero quella che faceva le vacanze con i cugini in Calabria, con quaranta gradi all’ombra, e milioni di lentiggini sul corpo (l’abbiamo girata tutta da nord a sud da est a ovest).
Ero quella ragazzina, che quando la mamma ha scoperto che aveva un eritema solare, le ha spalmato la leocrema (oggi chiamerebbero il telefono azzurro).
Avevo una sorta di ossessione per i cantanti e credevo che John Taylor, dei Duran Duran, mi guardasse dal poster della mia camera da letto.
Io che non ho mai avuto un cerchietto Nay Oleari, perché a detta di mamma non mi stava bene, e quindi per questo non sono potuta diventare una gatta morta, secondo la teoria di Chiara Moscardelli. (peccato!)
Avevo un disturbo borderline per Saranno Famosi e la Casa nella Prateria, e quindi un giorno mi vestivo con body di lycra e scaldamuscoli, tipico di Leroy Johnson, e un giorno cercavo di farmi delle improponibili trecce alla Laura Ingalls, e avrei dato tutto, per avere quel cestino delle cibarie che lei agitava nella sigla.
Io, che sul terrazzo di casa, a via Baccanico, cercavo di riprodurre fedelmente il balletto e la canzone finale di Grease, con le mie amiche, impersonando sempre e comunque John Travolta e mai Olivia Newton John (i miei avrebbero dovuto capire, che avevo già dei problemi a relazionarmi con le icone femminili).
Non usavo il rossetto rosa o arancione, come le mie amiche, ma rigorosamente bianco, e tagliavo tutti i pantaloni e purtroppo anche i capelli con le forbicine delle unghie, perché il Video di Madonna mi aveva folgorata.
E visto che non avevo a disposizione tanta musica cercavo di miscelare (o dio santo) le canzoni, registrandole direttamente dalla radio.
Non vi dico che musicassette conservo ancora oggi.
(Forse era un preludio della mia vita futura, inconsapevole del fatto che avrei trascorso una vita insieme ad un virtuoso di vinili e miscelaggi).
La mia domenica mattina era fatta di Cioè comprato all’edicola dei Platani, della messa alla chiesa del Rosario e del pezzo di pizza, alla pizzeria Guarino per il corso.
Alla fine delle vacanze estive dopo mesi di mare, giochi spensierati,sotto casa, qualche novità tipo l’Intelevision, che dopo 15 minuti si surriscaldava e dovevi spegnerlo,il game boy o lo stereo a doppia piastra regalatomi da papà; mi sentivo pronta per la scelta di un nuovo diario scolastico, magari uno della Nay Oleary (mia madre ancora parla di questo incubo).
La sensazione che ricordo era di una forma di rigenerazione,di una eccitante novità, per sentirti bene ci voleva molto poco, un paio di Superga nuove, un Levi’s 501 che mettevo a vita alta( non so come), ed eri pronta per il giro con le amiche magari per il Corso.
I film, che passavano al cinema non erano tantissimi, e non esisteva il multi-sala,anzi, quando eravamo fortunati c’era il Partenio e l’Eliseo; ma c’era anche la videoteca, che aveva una scelta fichissima di film d’eccezione, per non parlare delle ultime uscite…
Ed è lì, che metteva radici la mia fissa per il cinema.
Se volevi un po’ di suspance, mista ad una notte insonne, rubavi Cronaca Vera del nonno e la leggevi di nascosto. (salvo poi, svegliare i tuoi durante la notte perché avevi gli incubi).
Insomma io ero, molto molto diversa dai ragazzi di Ellis, forse perché non ero di Los Angeles ma semplicemente di Avellino, e forse, potrei anche dire stranamente “per fortuna“.